Dott. Peluso: “Hpv infezione molto frequente nella popolazione”

Intervistata al responsabile del Settore Biologia Molecolare del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino, il dottore Pasquale Peluso con il quale abbiamo affrontato il tema HPV.

Dottore, spieghiamo cos’è l’Hpv…

“Il Papilloma virus umano (Human Papilloma Virus) è un DNA virus con genoma circolare a doppio filamento. Si conoscono più di 120 tipi di Papilloma virus, divisi in gruppi (ceppi o genotipi) in base alle omologie di sequenza del DNA. La maggior parte di tali virus, Hpv a basso rischio, causa malattie non gravi, come le verruche cutanee, o tumori benigni, come il condiloma genitale. La restante parte, indicata come Hpv ad alto rischio, causa tumori maligni, come il cancro alla cervice (100%), all’ano (90%), alla vagina (70%), al pene (50%), alla vulva (40%) ed al cavo orofaringeo (26%)”.

Un virus sessualmente trasmissibile, non solo nelle donne quindi…

“Il virus Hpv si trasmette per via sessuale, attraverso il contatto con cute o mucose; i microtraumi che avvengono durante i rapporti sessuali potrebbero favorire la trasmissione. La trasmissione attraverso contatti genitali non penetrativi è possibile, pertanto, l’uso del profilattico, sebbene riduca il rischio di infezione, non lo elimina totalmente dal momento che il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico stesso. Faccio notare che numerosi studi concordano nel ritenere la giovane età, il numero di partner sessuali e la reciprocità nei rapporti sessuali, i fattori di rischio più rilevanti per l’acquisizione dell’infezione da Hpv, senza distinzione di genere”.

Alcuni tipi di Hpv sono definiti ad alto rischio oncogeno poichè associati all’insorgenza di neoplasie…

“Ad oggi sono stati identificati oltre 100 tipi di Hpv che infettano l’uomo e, tra questi, circa 40 sono risultati associati a patologie del tratto ano-genitale, sia benigne che maligne. I diversi tipi di hpv vengono distinti in genotipi ad alto e basso rischio di trasformazione neoplasica. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iacr) ha confermato l’evidenza oncogena per 12 tipi di Hpv che vengono identificati come Hpv ad alto rischio. Tra questi gli Hpv 16 e 18 sono responsabili di oltre il 70% dei tumori al collo dell’utero ed includendo anche i tipi di Hpv 45, 31, 33, 52, 58, e 35 sono coperti quasi il 90% dei tumori alla cervice. Altre famiglie di Hpv sono, invece, responsabili di patologie benigne e vengono dominati Hpv a basso rischio. Tra questi, gli Hpv 6 e 11, sono responsabili del 90% dei casi di lesioni benigne dominate condilomi genitali”.

Che diffusione ha l’Hpv nella popolazione e qual è l’evoluzione dell’infezione?

“L’infezione da Hpv è molto frequente nella popolazione e stima che l’80% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita, con un picco di prevalenza nelle giovani fino a 2 5 anni di età. La buona notizia è che la maggior parte di tali infezioni è transitoria, perchè il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima di sviluppare un effetto patogeno; pertanto, il 60-90% di infezioni da Hpv, incluse quelle da oncogeni, si risolve spontaneamente entro 1-2 anni dal contagio. In caso di infezione persistente, il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa 5 anni, mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere addirittura di decenni (20-40 anni).

Qual è l’esame che ci consente di diagnosticare precocemente l’Hpv?

“Finora, in Italia, il test di screening per la prevenzione del carcinoma del collo dell’utero è stato il PAP – Test (tradizionale e THIN prep), esame che rileva le alterazioni delle cellule e che, di norma, viene effettuato con cadenza triennale nelle donne di età compresa tra i 25 ed i 34 anni. Oggi, grazie ad un lungo lavoro di studio nazionale ed internazionale, i programmi di screening italiani stanno adottando un nuovo esame diagnostico denominato HPV Test. Tale esame utilizza le moderne metodiche di biologia molecolare e rileva direttamente il DNA del virus; pertanto esso è l’unico esame che, grazie alla sua sensibilità e specificità, permette di scoprire ed identificare il virus con largo anticipo, e comunque prima che esso possa provocare alterazioni e/o danni cellulari rilevanti”.

Come viene effettuato il test Hpv ed in quanto tempo si ha l’esito?

“L’Hpv test si esegue su un piccolo campione di cellule prelevate dalla sede del collo dell’utero, su THIN prep, su tamponi vaginali e su materiali biologici e bioptici di diversa provenienza; nell’uomo si esegue su tamponi e prelievi uretrali e/o balanici. Il risultato del test viene effettuato in 5 giorni lavorativi e prevede l’individuazione del virus e, in caso di positività, viene effettuata la genotipizzazione con l’indicazione del ceppo ad alto rischio identificato”.

Pap test e Hpv testm, quanto sono importanti nella prevenzione dell’Hpv?

“In termini di prevenzione primaria in Italia la vaccinazione (bivalente e tetravalente) è offerta gratuitamente dal 2007 alle ragazze nel 12° anno; negli anni successivi la vaccinazione è stata estesa anche a ragazze più grandi e dal 2015 alcune regioni offrono il vaccino anche ai maschi nel dodicesimo anno di età. Riguardo alla prevenzione secondaria, che interessa la maggior parte della popolazione, le donne tra i 25 ed i 34 anni dovrebbero effettuare un Pap – Test ogni tre anni, mentre le donne con un’età compresa fra i 30-35 anni ed i 64 anni, dovrebbero effettuare un Hpv Test almeno ogni 5 anni. Il test Hpv, come già detto, indica con molto anticipo la presenza del virus e quindi la possibilità di sviluppare una lesione precancerosa; ciò permette di allungare i tempi tra gli screening e di fare i test meno frequentemente. Infatti, è stato dimostrato che le pazienti con Pap – Test (THIN prep) ed HPV Test negativi hanno il 99% delle possibilità di non sviluppare tumori al collo dell’utero per i successivi 5 anni”.

Chiudiamo con il costo…

“Il costo dell’esame con ricetta medica è di 56,15 euro; 90 euro privatamete”.

Fonte: irpiniatimes

Breath Test, dott.ssa Palatucci: “Strumento diagnostico efficace per individuare intolleranze alimentari”

La dott.ssa Carmelina Palatucci, responsabile del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino.

Per questo nuovo appuntamento con la salute, si è parlato di “Breath Test”.

Dottoressa che cos’è il Breath test?

“Il breath test (termine anglosassone) o test del respiro, è un esame diagnostico non invasivo, semplice e indolore, che permette di individuare intolleranza alimentari (breath test al lattosio), velocita’ di transito intestinale (breath test al lattulosio), eventuali colonizzazioni batteriche anomale (test al glucosio) o la presenza del batterio Helicobacter Pylori nello stomaco. Il principio generale sul quale si basa la diagnostica “breath test” è che nell’espirato sono presenti composti gassosi, che seguendo un gradiente di diffusione, passano dal circolo ematico agli alveoli polmonari e come tali sono eliminati con il respiro. Si può dire, quindi, che il breath test all’Idrogeno misura la quantità di idrogeno presente nell’aria espirata dai pazienti sottoposti al test. Già  nel IV secolo a.C. Ippocrate, padre della medicina insegnava ai suoi allievi che sentire il respiro di un malato poteva indirizzare  la diagnosi, anche se si deve arrivare al XVIII secolo con Antoine Lavoisier che analizzando il respiro dimostrò la presenza di gas  (anidride carbonica) e quindi si può affermare che gettò le basi per l’utilizzo scientifico e diagnostico del Breath Test”.

In che cosa consiste precisamente?

“Il breath test consiste nel raccogliere ad intervalli di tempo campioni di aria espirata, dopo aver ingerito una soluzione contenente diversa sostanza a seconda del test da eseguire. Per l’esecuzione del breath test al lattosio, si somministra al paziente adulto la dose di 25 gr di lattosio e al bambino la dose di 12.5  gr.,disciolta  in 200 ml di acqua naturale. Nelle 4 ore successive si preleva l’espirato ogni 30 minuti per un totale di 9 misurazioni. Il breath test all’Urea, dopo il primo prelievo di espirato, prevede invece una somministrazione di una compressa di 100 mg di C13-urea, (urea marcata con un isotopo dl carbonio C13) sciolta in una soluzione acquosa di una bustina di 1.4 gr di acido citrico, utilizzata  per rallentare lo svuotamento gastrico. Dopo 30 minuti dall’ aver assunto  la soluzione di UreaC13, si procede alla raccolta del secondo espirato”. 

E’ un test sempice da eseguire? Ha controindicazioni?

“Essendo l’esecuzione del test del respiro semplice, non invasiva e priva di rischi, può essere eseguita anche a bambini con età superiore a 6 anni e a donne in gravidanza o in allattamento. Il paziente deve rimanere in laboratorio per tutta la durata dell’esame e precisamente: 4 ore e 30 minuti per il test di intolleranza al lattosio e circa 35 minuti per il breath all’urea. L’esame va eseguito la mattina, a digiuno da almeno 8 ore. Il paziente non deve fumare, non deve assumere antibiotici nei 7 – 15 giorni  precedenti il test; sospendere fermenti lattici, lassativi o antidiarroici ed evitare nelle 24 ore precedenti l’esame, il consumo di latte, latticini e tutti i prodotti alimentari che contengono lattosio. La sera precedente l’esame si consiglia di consumare una cena leggera a base di riso, carne pesce e acqua naturale. In caso di malassorbimento del lattosio, dopo l’assunzione dello zucchero, se al paziente manca l’enzima Lattasi, responsabile della scissione del lattosio , lo zucchero non assorbito raggiunge il colon, viene fermentato dalla flora microbica locale, producendo gas (Idrogeno, metano, anidride carbonica), dando origine ai tipici fenomeni dell’intolleranza al lattosio: meteorismo, flatulenza, nausea, dolori crampiformi. Anche per il breath all’urea il paziente deve astenersi dall’uso di antibiotici per tre settimane prima dell’esame, una settimana dall’uso di farmaci gastroprotettori e il giorno del test, deve essere digiuno da almeno sei ore, astenendosi dal fumo  e dall’assunzione di caffe’. L’aria espirata con il breath all’urea viene analizzata tramite spettrometro di massa che permette di misurare la quantità di anidride carbonica con C13 rispetto al totale dell’anidride carbonica espirata .Se presente il batterio Helicobacter pylori  nello stomaco, si osserva un aumento di C13 nell’aria espirata”.

Quando è stato riconosciuto come strumento diagnostico efficace?

“Il breath test ha raggiunto il massimo della popolarità, quando è stato utilizzato per diagnosticare infezione da Helicobacter pylori, unico microrganismo capace di resistere all’acidità dell’ambiente gastrico, al punto tale da insediarsi nella mucosa gastrica e ivi replicarsi. Tale caratteristica è data dalla capacità di produrre ureasi, un enzima che scinde l’urea nello stomaco liberando acido carbonico ed ammoniaca; l’ureasi neutralizza gli acidi gastrici creando un microambiente favorevole alla replicazione del batterio. L’infezione da helicobacter Pylori porta a conseguenze spiacevoli per il paziente, predisponendolo alla gastrite, all’ulcera gastrica e in alcuni casi a formazioni tumorali. Il medico può prescrivere la richiesta del breath test all’urea, quando il paziente presenta sintomi a livello gastrico con iperacidità, eruttazioni, nausea e senso di pienezza, perdita di peso inspiegabile data l’elevata specificità dell’esame, il breath test all’urea può essere ripetuto nel tempo per monitorare l’efficacia della terapia medica intrapresa per eradicarne l’infezione”.

In quali casi è opportuno sottoporsi ai breath test?

“Se un paziente dopo aver ingerito latte e derivati decrive episodi di flatulenza, distensione addominale, diarrea, dolori al basso ventre, spesso aspecifici e di non facile inquadramento diagnostico, perché comuni al altre patologie, come celiachia, rettocolite ulcerosa, sindrome del colon irritabile… può essere richiesta  dal medico l’esecuzione del breath al lattosio”.

Il costo?

“Presso il nostro centro il costo dei singoli test e di 60 Euro”.

Fonte: irpiniatimes.it

Dott. Peluso sulla celiachia: “Più di 400mila celiaci non diagnosticati in Italia”

Dottore, che cos’è la celiachia?

“La celiachia o malattia celiaca è il risultato di un’infiammazione cronica autoimmune dell’intestino tenue in soggetti geneticamente predisposti. Le malattie autoimmuni si verificano quando il sistema immunitario aggredisce le cellule di tessuti sani dell’organismo, ritenendole per errore nocive e producendo degli anticorpi per combatterle. Nella celiachia – la sostanza che scatena la reazione autoimmunitaria – è contenuta nel glutine ed è denominata gliadina; quando la gliadina è introdotta nel corpo attraverso il cibo, provoca un’infiammazione della parete dell’intestino tenue, ricoperta da milioni di piccole escrescenze chiamate villi intestinali. I villi hanno la funzione di aumentare la superficie di intestino che viene a contatto con il cibo, assorbendo le sostanze nutrienti in esso contenute. Nei malati di celiachia l’infiammazione dei tessuti appiattisce i villi riducendo la capacità di assorbimento e causando i sintomi della malattia celiaca”.

Dov’è presente il glutine?

“Il glutine si trova in tre cereali ovvero nel grano di tutti i tipi, nell’orzo, nella segale ed è presente in tutti gli alimenti che li contengono come la pasta, la pizza, i grissini, le torte, gli snacks ed i cereali per la prima colazione. Inoltre esso viene aggiunto a molti alimenti come additivo durante la fase di trasformazione industriale ed in particolare in salse, piatti pronti, gelati, alimenti impanati ed in alcuni tipi di yogurt; anche la birra, prodotta dalla fermentazione dell’orzo, deve essere evitata dai celiaci”.

Quali sono i sintomi?

“La celiachia è caratterizzata da un quadro clinico molto variabile. Nei casi più lievi, i malati non hanno alcun fastidio evidente e spesso scoprono di essere celiaci in età avanzata o a seguito di accertamenti diagnostici eseguiti per altre malattie. Nella forma classica, il sintomo più frequente è la diarrea, dovuta all’impossibilità dell’organismo di assorbire completamente le sostanze nutrienti. Altri disturbi comuni possono essere gonfiore e dolore addominale ricorrente, perdita di peso dovuta a malassorbimento intestinale ed il rallentamento della crescita dei bambini. Purtroppo la forma classica è sempre più rara, mentre vanno aumentando i casi della forma atipica negli adulti, che possono presentare disturbi come stanchezza, affaticamento, anemia, carenza di vitamina B12, dimagrimento senza altra causa, bassa satura, infertilità, dermatiti, etc”.

Come si effettua la diagnosi?

“La diagnosi di celiachia si effettua mediante analisi del sangue periferico per determinare la presenza e la quantizzazione di alcuni anticorpi (anti endomisio ed anti transglutaminasi), i quali vengono prodotti e messi in circolo nei casi in cui il glutine sia percepito dall’organismo come sostanza estranea e pericolosa. Nel caso in cui venga riscontrata la presenza di un elevato livello di tali anticorpi, si procederà ad una biopsia dell’intestino tenue ed al conseguente esame istologico che potrà verificare se i villi siano danneggiati o atrofizzati, ovvero presentino i segni della malattia celiachia conclamata”.

E’ una malattia che può colpire a qualsiasi età ed è permanente?

“La celiachia può svilupparsi a qualsiasi età ed è più frequente tra le donne, visto che due casi su tre riguardano il sesso femminile. Fermo restando che la celiachia è legata ad una predisposizione genetica e che quindi ‘ci si nasce’, capita che i sintomi e la reazione immunitaria dell’organismo si manifestino in età adulta, spesso verso i 20-25 anni, ma anche dopo i 40 anni. Dobbiamo anche considerare che esiste anche una sensibilità al glutine con una sintomatologia molto simile a quella della malattia celiaca. Tali sintomi si manifestano in genere nel giro di pochi minuti o poche ore dal consumo di cibi contenenti glutine al contrario della malattia celiachia che è permanente”.

L’incidenza di questa malattia in Italia è stimata in un soggetto ogni 100 persone, ce lo conferma?

“Posso confermarle che dai dati della letteratura scientifica, la celiachia interessa circa l’1% della popolazione generale a livello globale. In Italia, i celiaci dovrebbero essere circa 600.000 ed al 31/12/2014 i casi diagnosticati erano poco più di 172.000; nel nostro paese ci sono più di 400mila celiaci non diagnosticati che, usando quotidianamente il glutine, presentano i disturbi tipici della malattia e rischiano di andare incontro a severe complicazioni”.

E’ una malattia genetica?

“Possiamo certamente parlare di una predisposizione genetica alla celiachia. La ricerca scientifica dimostra come la malattia celiaca sia fortemente associata a mutazioni geniche che interessano i gruppi denominati HLA-DQ, responsabili dello sviluppo del sistema immunitario e trasmissibili ai discendenti. I familiari di primo grado (figli, fratelli-sorelle, genitori) dei malati celiaci hanno un rischio pari a circa il 10-15% in più, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare la malattia celiaca. Non è ancora noto perchè solo il 30% delle persone che hanno la predisposizione genetica sviluppino la malattia, nè perchè alcuni presentino sintomi lievi ed altri gravi. Attualmente le linee guida sulla celiachia raccomandano l’esecuzione di screening diagnostici di predisposizione genetica su tutti i soggetti cosiddetti ‘a rischio’ ovvero tutte quelle persone che hanno familiari di primo grado malati di celiachia o che soffrono di malattie autoimmuni”.

Come si cura?

“Al momento l’unica cura disponibile è una dieta senza glutine (gluten free), che va rigorosamente rispettata per tutta la vita e che permette di far scomparire i disturbi causati dalla malattia al fine di evitare complicazioni anche gravi. Pertanto, quando si è sicuri di essere celiaci, perchè la malattia è stata correttamente diagnosticata, è necessario rivolgersi ad un medico specialista e ad un dietologo per essere aiutati nel passaggio ad una dieta senza glutine, correttamente bilanciata e comprensiva di tutte le sostanze nutritive di cui si ha bisogno”.

Parliamo, infine, del costo dell’esame…

“Questo è un esame non convenzionato. Il costo è di 15 euro per anticorpi anti edomisio; transglutaminasi IGA – 10 euro e transglutaminasi IGG – 10 euro.

Fonte: irpiniatimes.it

Il dott. Petruzziello sulla fibrosi cistica: “Aspettative di vita raddoppiate rispetto al passato”

Con il biologo del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino è stato affrontato il tema “Fibrosi Cistica”.

Dottore, cos’è la fibrosi cistica?

“La fibrosi cistica è una delle malattie genetiche più diffuse e colpisce circa 1 su 2500-3000 bambini all’anno. E’ dovuta alla mutazione del gene CFTR che si trova sul cromosoma 7, ed essendo una malattia autosomica recessiva, si manifesta quando è in omozigosi, cioè quando eredita dai genitori entrambe le copie alterate. Quando è in eterozigosi, ovvero ereditata una copia alterata e una sana, l’individuo è portatore della malattia ma non la manifesta. La mutazione di tale gene porta alla produzione di una proteina alterata deputata al trasporto principalmente degli ioni cloro, ma anche di altri elettroliti. Ne consegue un accumulo di acqua all’interno della cellula e una produzione di muco molto denso con danno a diversi organi che causa morte prematura”.

Quali sono i sintomi? Come si riconosce il campanello d’allarme?

“I sintomi più ricorrenti della malattia sono: tosse persistente, difficoltà respiratorie, diarrea cronica e difficoltà di accrescimento. Ma il campanello d’allarme è dato dall’accumulo di muco molto denso a livello delle vie aeree e dal sudore molto salato. Per questo, il primo esame da eseguire, è proprio il test del sudore che consiste nella misurazione del cloro al suo interno”.

Gli organi maggiormente colpiti sono bronchi e polmoni, ce lo conferma?

“Sì, questa malattia colpisce numerosi organi come il fegato, il pancreas, le ossa e l’apparato riproduttivo ma gli organi maggiormente colpiti sono i bronchi e i polmoni. Infatti, la principale causa di mortalità è dovuta proprio all’interessamento di questi ultimi poichè l’accumulo di muco ostruisce le vie respiratorie provocando difficoltà di respirazione. Inoltre, queste sono rese più sensibili ad infezioni batteriche con progressivo deterioramento degli organi stessi”.

Dottore, oggi i bambini con la fibrosi cistica studiano, crescono, hanno un lavoro, costruiscono una famiglia. Ma sulla durata e la qualità della loro vita, la malattia incide in maniera significativa?

“La malattia agisce in maniera molto significativa sia sulla durata che sulla qualità della vita. Nonostante ciò, le aspettative di vita rispetto al passato sono aumentate fino a raddoppiare. Infatti, se negli anni ’60 la maggior parte dei pazienti arrivava a circa 5 anni, oggi l’età media supera i 35”.

E non dimentichiamo che la ricerca sta facendo passi da gigante…

“Riguardo la ricerca, si stanno compiendo numerosi passi in avanti, sia per quanto riguarda le terapie sintomatiche e conservative, che per quelle geniche. Tra le prime possiamo citare le fisioterapie e lo sport, gli antibiotici e i mucolitici, gli enzimi della digestione e gli integratori salini. Molti progressi si stanno facendo sul fronte della terapia genica che potrebbe correggere il deficit del gene e portare ad una completa guarigione. Attualmente, però, si è riusciti solo ad agire sulla proteina mutata migliorando le sue prestazioni”.

In funzione della fertilità, è opportuno approfondire la fibrosi cistica anche con la ricerca delle eventuali mutazioni?

“Esiste una discreta correlazione tra le mutazioni della fibrosi cistica e l’infertilità. Nei maschi l’infertilità è dovuta al mancato sviluppo dei dotti deferenti, che determina assenza di migrazione degli spermatozoi dai testicoli allo sperma, anche se questi vengono prodotti normalmente. Nelle donne, invece, può anche portare all’assenza o all’irregolarità del ciclo mestruale. Ciò è dovuto principalmente a scarsa nutrizione, basso peso corporeo e scarsa funzione polmonare, tutti fattori che contribuiscono all’interruzione dell’ovulazione. In definitiva, il grado di infertilità può essere molto variabile e dipende dal tipo, dal numero e dalla diversa interazione delle mutazioni”.

La fibrosi cistica potrebbe essere una delle cause di sterilità?

“Bisogna distinguere tra sterilità ed infertilità. La sterilità è l’impossibilità ad avviare una gravidanza perchè l’uomo o la donna non produce le cellule destinate alla riproduzione. L’infertilità, invece, è l’impossibilità di avere una gravidanza perchè non può avvenire l’incontro delle cellule seminali che l’uomo e la donna sono in grado di produrre. A differenza dell’infertilità, sembra che per la sterilità non ci sia nessuna correlazione con la fibrosi cistica”.

Esiste un test specifico per diagnosticarla? Se sì, quanto costa?

“Sì, è possibile identificare diverse mutazioni della fibrosi cistica e nella letteratura ne sono state descritte piu di 1700 (o varianti). Il test che noi utilizziamo è in grado di riconoscere 50 mutazioni più comuni nella popolazione. Per seguire il test basta un semplice prelievo di sangue dal quale viene isolato il DNA, che viene amplificato con la tecnica PCR. In questa fase è possibile amplificare e separare le sequenze di DNA mutanti o normali. Le sequenze vengono poi separate mediante elettroforesi capillare e l’identificazione viene eseguita attraverso un software di analisi. Lo stesso test può essere eseguito anche su liquido amniotico, nel caso in cui i genitori siano portatori della malattia. In questo caso è possibile sapere se il feto è normale, portatore o affetto dalla malattia. Il costo dell’esame con impegnativa è pari a 56,15 euro; 5 euro con l’esenzione (sempre correlata alla richiesta dello specialista). L’esame svolto privatamente ha un costo di 150,00”.

Fonte: irpiniatimes.it