L’esame del cariotipo: ne parliamo con il dott. Tortora

Esame del cariotipo: cos’è? A cosa serve? Quando si fa?

L’analisi del cariotipo è un indagine di citogenetica classica che permette di osservare e studiare al microscopio il corredo cromosomico di una persona. L’assetto cromosomico normale è a 46 cromosomi, divisi in 22 paia di cromosomi identici (detti autosomi) più l’ultima coppia (detti cromosomi sessuali) che stabilisce invece il sesso della persona: XX per la donna, XY per l’uomo.

L’esame del cariotipo è utile nel diagnosticare la presenza di eventuali patologie dovute ad alterazioni numeriche e/o strutturali a carico dei cromosomi. 

Esistono delle linee guida che suggeriscono di effettuare questo tipo di indagine. Naturalmente bisogna ricordare che questa indagine può essere eseguita sia in diagnosi postnatale che in diagnosi prenatale. Ecco perché le indicazioni sono sostanzialmente differenti, a seconda che si tratti dell’una o dell’altra. Nel caso della diagnosi postnatale le indicazioni più frequenti, anche tenendo conto delle richieste che giungono al nostro Centro, sono quelle relative alla infertilità di coppia accertata o sospetta, alla poliabortività, alla presenza in età postpuberale di amennorea primaria o di ipogenitalismo, e soprattutto alla presenza di anomalie cromosomiche riscontrate in diagnosi prenatale nel feto poiché bisogna stabilirne l’origine ereditaria o de novo effettuando l’indagine sui genitori. Discorso a parte merita la diagnosi prenatale che induce molto spesso ansia e timore nella gestante e in generale nella coppia che si appresta ad effettuarla; ansia generata soprattutto dalla preoccupazione di sapere se avranno un figlio affetto da trisomia 21, meglio nota come sindrome di Down. Le indicazioni all’esame del cariotipo in gravidanza sono soprattutto i riscontri ecografici di malformazioni fetali, livelli bassi di AFP nel siero materno o nel liquido amniotico, accertata anomalia bilanciata in uno dei due genitori e anamnesi genetica familiare positiva per patologie cromosomiche o patologie mendeliane associate ad anomalie cromosomiche”.

Cosa si vede dall’esame del cariotipo?

“Ritengo che questa sia una domanda molto pertinente, poiché occorre fare molta chiarezza su questo punto. Nell’era di Internet, nella quale ci troviamo immersi, dove qualsiasi informazione è alla portata di tutti ed è disponibile in pochi secondi, e dove non esiste un filtro soprattutto per le informazioni relative ad argomenti medicodiagnostici, molto di frequente i pazienti arrivano al nostro Centro con idee un po’confuse circa le indagini genetiche. Mi preme ribadire che l’esame del cariotipo serve a diagnosticare unicamente le patologie dovute ad anomalie strutturali (quali inversioni, traslocazioni, grandi delezioni e/o grandi duplicazioni) o numeriche (trisomie, monosomie, cromosomi marker) a carico dei cromosomi, anche perchè vi è un limite di risoluzione insita nell’indagine stessa. Ciò significa che non è possibile vedere alterazioni piccole come ad esempio le mutazioni che si verificano a carico di uno o più geni presenti su uno o più cromosomi, e che possono essere responsabili di malattie genetiche, quali ad esempio la talassemia, per citarne una. Per questo tipo di patologie la diagnosi è possibile solo ed esclusivamente grazie a tecniche di biologia molecolare che hanno, soprattutto nell’ultimo decennio, migliorato di gran lunga il potere di risoluzione rispetto alle indagini di citogenetica classica. Nonostante ciò, l’esame del cariotipo risulta essere ancora valido  soprattutto in quelle situazioni dove vi è la necessità di confermare o meno l’esito positivo di un test molecolare, quale ad esempio la Nipt o Aurora test in diagnosi prenatale. Inoltre bisogna anche dire che in aiuto e a completamento del cariotipo classico, vi è un altro tipo di test che permette di rilevare alterazioni molto piccole quali microdelezioni o microduplicazioni cromosomiche basato sulla tecnica dei CGHArray, anche noto come “cariotipo molecolare”. Questo test permette di porre diagnosi di un gran numero di patologie conosciute (circa 100) soprattutto in quei casi dove, nonostante la presenza di un fenotipo patologico, l’esame del cariotipo risulta essere normale”. 

Dopo quanto tempo si hanno i risultati?

“Anche qui bisogna dire che i tempi di refertazione sono diversi a seconda che si tratti di diagnosi prenatale e postnatale. Dato che nel caso di diagnosi postnatale l’esame è condotto su un prelievo di sangue venoso che necessita di tempi di coltura definiti a “breve termine”, i tempi di refertazione sono di circa 7 gg; va da sé che i tempi possono essere abbreviati in dipendenza dell’urgenza del quesito diagnostico che ci troviamo ad affrontare. Questo accade quando vi è ad esempio sospetto di patologia cromosomica in neonati, quando bisogna stabilire se un alterazione cromosomica riscontrata in prenatale nel feto è presente o meno in uno dei due genitori, o quando ad esempio le coppie si avviano a cicli di fecondazione. Per quello che riguarda la diagnosi prenatale, i tempi sono più lunghi e vanno da 14 a 21 gg. In questo caso l’indagine è effettuata su un prelievo di liquido amniotico che necessita di coltura a “lungo termine”. Per quanto possibile, poiché la velocità della crescita cellulare è indipendente dall’operatore, cerchiamo sempre di essere rapidi soprattutto in casi complessi che necessitano di consulenza genetica clinica”.

Dottore, parliamo dei costi dell’esame…

“Il costo dell’esame del cariotipo su sangue periferico o liquido amniotico è di 90,00 euro. Lo stesso test può essere anche effettuato con prescrizione medica e il costo varia a seconda di eventuali esenzioni del paziente”.

Fonte: irpiniatimes.it

Poliabortività e trombosi, dott. Peluso: “Ecco la mutazione che può aumentare il rischio”

Per la rubrica “Salute & Benessere”, questa settimana, abbiamo intervistato il dott. Pasquale Peluso, responsabile del Settore Biologia Molecolare del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino.

Dottore, parliamo della coagulazione?

“La coagulazione è un meccanismo ‘a cascata’ che implica una serie di processi all’interno o all’esterno di un vaso sanguigno mediante il quale si viene a formare un coagulo o un trombo. Serve ad evitare, in caso di traumi con fuoriuscita di sangue, che si possa avere un’emorragia attraverso la formazione di un coagulo che impedisce al sangue di fuoriuscire. E’ stato osservato – già da diversi anni – che esistono delle mutazioni genetiche che causano difetti nei fattori della ‘cascata coagulativa’. La coagulazione è un meccanismo complesso mediato da un numero piuttosto importante di proteine o fattori. Questi fattori reagiscono a catena, quindi si influenzano gli uni con gli altri per cui si parla di un meccanismo multifattoriale. E’ importante sapere com’è il funzionamento e quali sono i fattori genici che stanno a monte di tale processo”.

Ci sono anche fattori predisponenti all’ipertensione?

“Ci sono alcuni fattori legati alla presenza di una patologia e, dunque, si cerca di risalire ad un meccanismo genico alla base. E’ stato visto che c’è un gene – in particolare il gene Agt  – che controlla la produzione di angiotensinogeno, una proteina legata alla modulazione della pressione arteriosa, per cui uno studio di tutto il pannello di queste mutazioni (14 ne comprende quello completo – 4/5 di base sono le più importanti), ci da un quadro completo sia per quanto riguarda i fenomeni di un’alterata coagulabilità del sangue, sia per quanto riguarda l’angiotensinogeno per vedere se eventualmente la persona presenta una mutazione genica per l’Agt e, dunque, presenta una proteina alterata.

La trombosi può manifestarsi ad ogni età quando si ha questo tipo di mutazione?

“Sicuramente. Ogni gene che produce una proteina della cascata coagulativa è formato da due alleli, ognuno trasmesso da un genitore. Pertanto, la mutazione può essere ereditata da entrambi i genitori. Il risultato del test genetico può non presentarci alcuna mutazione per cui il gene funziona bene; la mutazione può presentarsi al 50%, quindi uno dei genitori ha trasmesso la mutazione – il 50% produce la proteina normale, l’altro 50% produce la proteina con difetto – c’è quindi un’anomalia nella regolazione della pressione arteriosa; oppure l’omozigosi, caso più grave, quando entrambi gli alleli sono mutati e nel plasma circolano solo delle proteine mutate, cioè quelle che non funzionano come dovrebbero. La severità dei sintomi, dunque, dipende anche e soprattutto da questi aspetti”.

Ci conferma che le donne che hanno questo tipo di mutazione genetica possono abortire con più frequenza?

“Certo, addirittura nel 25-30% dei casi, facendo lo screening a queste donne che hanno subito un aborto spontaneo, si è visto che erano portatrici di questa mutazione per cui è opportuno – secondo le linee guida attuali – tra le indagini che si fanno prima di avere una gravidanza, includere anche quello dei fattori, in modo che il ginecologo già sa come trattare e monitorare la paziente rispetto a chi non presenta la mutazione. Il rischio è quello di sviluppare una trombosi placentare”.

La maggior parte delle donne – soprattutto aspiranti mamme – non sa di avere questa mutazione. L’aborto è l’unica avvisaglia?

“L’aborto è l’unica avvisaglia per le donne in gravidanza. Una donna non in gravidanza, magari più anziana, se possiede questo gene mutato ha più probabilità di sviluppare un trombo, il coagulo va ad intasare dei vasi capillari piccolissimi e può portare ad una serie di conseguenze”.

Chi ha e sa di avere questa mutazione, può prevenire la trombosi?

“La prevenzione inizia dai cofattori ambientali, dal fumo di sigaretta allo stile di vita, ad una sana alimentazione. Il fumo, legato ad una mutazione, fino ad arrivare ad 1 su 12, aumenta quasi del doppio il rischio di trombosi. Ed ancora. L’utilizzo degli anticoncezionali aumenta il fattore di rischio. Una cura vera e propria deve essere valutata qualora dovessero emergere delle problematiche serie, tangibili oltre alla familiarità. La frequenza di mutazione in Italia è del 2/3% per l’eterozigosi e 1: 5000 in omozigosi. I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare trombosi venose, mentre gli omozigoti arrivano ad un rischio pari ad 80 volte”.

In cosa consiste il test per la coagulazione?

“Per effettuare questo test di ultima generazione, basta sottoporsi ad un prelievo venoso. E’ un test in pcr quindi sfrutta l’amplificazione genica in modo tale che riusciamo a vedere la presenza quelle mutazioni che causano le alterazioni della proteina. In una settimana sappiamo con precisione se geneticamente c’è la presenza di una mutazione e quindi l’eventuale predisposizione ad un fenomeno trombotico”.

È un test convenzionato o ha un costo?

“Quando si presenta un caso in famiglia, o ipertensione o poliabortività è in convenzione. Se si vuole indagare preventivamente il costo è di 40 euro per la singola mutazione, 120 euro per le cinque mutazioni base”.

Fonte: irpiniatimes.it

Allergie, dott.ssa Palatucci: “Faber test completo”

Fonte: irpiniatimes.it

La direttrice del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino, dott.ssa Carmela Palatucci, ci parla del Faber Test.

Dottoressa parliamo del Faber Test?

“Il Faber è un test di ultima generazione introdotto recentemente presso il Centro Polispecialistico Futura Diagnostica in cui lavoro da diversi anni. Faber consente di studiare eventuali allergie nei pazienti attraverso un semplice prelievo di sangue”.

Come nasce?

“Nasce da uno studio del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche), insieme ad un gruppo di allergologi del CAAM (Centro Associato Allergologia Molecolare), esperti nella diagnostica delle proteine al fine di evidenziare le allergie nei pazienti sfruttando la metodica della nanotecnologia. Studiano, in pratica, la biochimica delle proteine”.

Qual è la caratteristica del nuovo test in campo alimentare e non?

“In campo alimentare esso prende in considerazione 144 alimenti e 89 cibi diversi – in particolare uova, latte, crostacei e carni -. Attraverso questo test possiamo capire se una persona è allergica e a quale alimento. Ad esempio, se una persona, anche un bambino, è allergica al latte vaccino e non al latte d’asina, in futuro si potrebbe indirizzare la produzione su tipi di latte meno allergenici. In campo non alimentare, invece, valuta 244 test totali di cui 122 molecole allergeniche e 122 estratti allergenici provenienti da: acari, pollini di erbe, graminacee, alberi, epiteli animali, alimenti animali, vegetali, veleni di insetti pungitore, latex, muffe e lieviti”.

Chi può eseguire il test?

“Il Faber è un test che può eseguire chiunque, dal neonato alla persona anziana perché basta, ripeto, un semplice prelievo di sangue e non è necessario essere digiuni, né se si è in presenza di eczema o orticaria”.

Dottoressa, qual è la differenza tra Faber e gli altri test?

“Il Faber utilizza allergeni ed estratti molecolari e attraverso la nanotecnologia, ci consente di esaminare piccolissime molecole ed evidenziare, eventualmente, l’allergene”.

Quando è consigliato?

“Il test viene consigliato a chi vuole intraprendere un viaggio e ha dei sospetti/sintomi di allergia, a chi ha familiarità con allergia, a chi facendo un prelievo ha notato delle IGE molto alte (ci dicono di essere allergici ma non a quale sostanza). Il Faber chiarisce le idee e toglie ogni dubbio”.

Quali sono i sintomi? Come riconosciamo il campanello d’allarme?

“I più frequenti sono: eczema, intolleranza verso determinate sostanze ed alimenti, nausea”.

Infine parliamo del costo del Faber test…

“Il Faber test non è mutuabile. Il suo costo è di 250 euro, un prezzo che non deve farci allarmare considerando che andiamo a studiare 244 allergeni e in più valutiamo le proteine degli alimenti”.

Alzheimer: la diagnosi precoce passa per gli occhi

UN RAPIDO e semplice esame degli occhi potrebbe un giorno aiutare i medici a diagnosticare precocemente la malattia di Alzheimer. A riferirlo oggi sulle pagine di Ophthalmology Retina, rivista dell’American Academy of Ophthalmology, sono i ricercatori del Duke Eye Center, negli Stati Uniti, che hanno dimostrato l’efficacia di un sistema diagnostico per immagini nell’individuare in pochi secondi la presenza di precisi cambiamenti negli occhi caratteristici delle persone che si ammalano di questa patologia.

Diagnosi precoce

Il sistema, chiamato Octa (Optical Coherence Tomography Angiography), rappresenta un passo in avanti per riuscire a trovare un metodo rapido, non invasivo e poco costoso per rilevare l’Alzheimer nei suoi primi stadi. Ancora oggi, infatti, la diagnosi precoce di questa patologia rappresenta per la comunità scientifica una vera e propria sfida. Le tecniche disponibili, precisano gli autori dello studio, presentano ancora diversi limiti: alcune sono troppo costose per uno screening su vasta scala, altre rischiose, poco pratiche o in grado di rilevare i segni della malattia quando è già in una fase avanzata.

“Anche se oggi non disponiamo ancora di una medicina in grado di modificare l’andamento naturale della patologia, la diagnosi precoce è importante perché si può intervenire fin da subito sui fattori di rischio che influenzano la progressione della malattia, quali obesità, sedentarietà, scarsa attività cognitiva, ipertensione, diabete e ipercolesterolemia”, spiega Paolo Maria Rossini, direttore dell’area neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma. Inoltre, aggiunge l’esperto, i pochi farmaci attualmente disponibili se erogati precocemente sono più efficaci nel ritardare e rallentare l’andamento della malattia.

Lo studio

Per testare l’efficacia del sistema Octa, i ricercatori lo hanno utilizzato per mettere a confronto le retine di circa 200 persone. Più nel dettaglio, i ricercatori hanno analizzato gli occhi di 39 pazienti con Alzheimer, di 37 persone con compromissione cognitiva lieve, e di 133 persone in buona salute, come gruppo di controllo. Dal confronto è emerso che i pazienti affetti da Alzheimer presentavano una significativa diminuzione della rete di capillari situati nella parte posteriore dell’occhio e un assottigliamento dello spessore di uno specifico strato della retina, lo strato plessiforme interno, rispetto alle persone con un lieve deficit cognitivo e a quelle in buona salute.

Il legame tra retina e Alzheimer

Stando ai risultati, quindi, il sistema permettere di misurare in modo preciso e non invasivo la microvascolarità della retina. “Già da alcuni anni era stato proposto un metodo per misurare la presenza e l’accumulo delle placche di beta amiloide sulla retina, ritenendo che questo rispecchiasse quanto avviene nel cervello”, ha concluso Rossini. “Tuttavia, in questo nuovo studio non è stato fatto un confronto degli attuali metodi di diagnosi precoce, come i test neuropsicologici, la Mri volumetrica, il Pet-scan e tanti altri”. Lo studio, conclude l’esperto, quindi non dimostra che il sistema sia migliore di quelli disponibili oggi, ma è in grado di distinguere i pazienti a rischio o che sono già affetti dall’Alzheimer e i soggetti del gruppo di controllo. “Il nostro lavoro non è finito qui”, assicura l’autore della ricerca Sharon Fekrat. “Lo scopo è riuscire a rilevare queste alterazioni nei vasi sanguigni nella retina prima che i pazienti sviluppino cambiamenti cognitivi. Solo allora saremo davvero a un punto di svolta”.

Fonte: repubblica.it